L’evento previsto in occasione della giornata internazionale della Donna promosso dall’associazione “Frida contro la violenza di genere” ed il Comune di Cava de’Tirreni in sinergia con l’Assessore all’Istruzione e al Patrimonio, Avv. Lorena Iuliano e l’Assessore alle Politiche sociali e Beni Comuni Dott.ssa Annamaria Altobello ha sensibilizzato i consociati ed in particolar modo i giovani, attraverso l’attivo coinvolgimento dei comprensori scolastici presenti sul territorio e di una piccola rappresentanza degli alunni, in occasione della giornata internazionale dei diritti della donna presso l’aula consiliare del Comune di Cava de’Tirreni.
L’incontro è stata una preziosa occasione di confronto e ampliamento delle conoscenza, soprattutto per i più giovani intorno una tematica molto sentita, ovvero quella di ricordare le battaglie in nome delle conquiste sociali, economiche e politiche che le donne hanno affrontato nel corso della storia. In particolare, la lotta contro le discriminazioni e le violenze, il diritto alla parità salariale, l’autodeterminazione e le difficoltà che quotidianamente le donne in carriera devono affrontare col terrore di perdere i diritti conquistati.
Ancora oggi non è stata raggiunta una vera e propria parità sia sotto il profilo salariale sia nel ricoprire ruoli apicali; sussistono ancora differenze di genere sul lavoro, che seppur in parte diminuite, persistono rispetto al passato. Anche il binomio mamma-moglie ha lasciato il posto a donne che scelgono la carriera prima della famiglia, seppur non manchino esempi di donne capaci di coniugare entrambi i ruoli.
Per affrontare tali tematiche, l’attrice Geltrude Barba ha interpretato un monologo per i ragazzi per trasformare con immagini ed emozioni il senso della memoria dell’8 marzo, inoltre sono stati interpretati magistralmente alcuni monologhi tratti dal romanzo “Suites acide storie di ragazze rotte” . La scrittrice Alessandra De Vita, attraverso il racconto della storia di tre giovani donne pone l’attenzione sull’incertezza e la precarietà, tra velleità professionali e modelli di pensiero divenuti caposaldo di generazioni talmente lontane tra loro che sembra difficile possano coesistere e l’incertezza del presente. Il trait d’union di questi frammenti di vita quotidiana è il desiderio di affermarsi per essere indipendenti, evidenziando un gap generazionale. Le storie delle protagoniste del libro: Isabel che dalla provincia si imbatte con una realtà come quella di Bologna in cui vede un contesto femminile storicamente e socialmente più evoluto; il mobbing per Giulia e infine l’impossibilità di realizzarsi sul piano lavorativo e sentimentale che lascia infine spazio a una volontà di sentirsi libera seppur incompiuta e sospesa per Mia.
L’evento caratterizzato dalla partecipazione attiva da parte dei ragazzi dell’IIS Della Corte Vanvitelli grazie al supporto della Dirigente Franca Masi, attraverso la formulazione scambi interattivi tra i relatori, ha portato alla luce le difficoltà attuali degli adolescenti ma anche le competenze specifiche generazionali. I teenager, fortemente implicati nella conoscenza dei diritti e dei doveri, essendo alle porte del personale riconoscimento della maggiore età si sono confrontati con l’autrice del libro, la psicologa psicoterapeuta Maria Antonietta Cerrato e l’avvocato Ambra Viscito in un ampio dibattito sul mobbing e sui reati penali attualmente più sentiti che implicano l’era digitale.
Vogliamo ringraziare il critico cinematografico Francesco Della Calce che ha condotto l’incontro curando l’atmosfera dell’incontro, l'”Associazione Casa mia Onlus Dopo di noi” che ci hanno omaggiato di una creazione floreale, Giovanni Maiorano che è sempre presente insieme a noi nel condividere la nostra mission.
Il progetto di sensibilizzazione dell’associazione Frida per le donne
In occasione della Giornata Mondiale contro la violenza, l’Associazione Frida che opera da anni a sostegno delle donne vittime di violenza e contro la violenza di genere dà il via ad una campagna di sensibilizzazione che vede come protagonista l’amore dal titolo “In amore scegli tu”.
La campagna lancia un video realizzato da Frida che vede il coinvolgimento degli alunni di un istituto comprensivo interrogati sul significato dell’amore vero e come questo possa diventare malato nel mondo degli adulti, contrapponendo amore e violenza.
All’interno del video si ascolteranno bambini e adulti confrontarsi sul significato dell’amore e della violenza e la testimonianza diretta di una vittima di violenza a carico del Cav.
Il progetto è in collaborazione con Rtc quarta rete, Istituto Comprensivo Carducci Trezza, IIS Della Corte Vanvitelli, Associazione amici della terza età-Antico Borgo.
Frida è un’associazione di promozione sociale nata nel 2009 a Cava de’ Tirreni (SA) dall’impegno di un gruppo di donne, che, prendendo in prestito il nome dell’artista messicana Frida Khalo, icona di coraggio, ribellione, indipendenza e affermazione e sulla scia di esperienze personali e professionali, provano a realizzare uno spazio di accoglienza per donne e minori vittime di violenza di genere.
Si chiude il cerchio del percorso di assistenza e supporto delle donne vittime di violenza, anche il collocamento in una struttura ora è una risposta possibile. Il benvenuto e l’augurio alla cooperativa che gestisce la nuova casa Rifugio Luna Diamante in favore di chi subisce atti di violenza.
La voglia di cambiare la propria vita e di reagire nasce da un lungo percorso di auto consapevolezza ed empowerment di tutti gli stakeholders sociali. Il progetto individualizzato, pensato e sviluppato tenendo conto di ogni singola esigenza dell’utente e dei suoi figli, prevede la presa in carico globale dell’utente al fine di supportarla a diventare autonoma ed indipendente. Da oggi Jessy ha accettato di seguire un percorso che la porterà verso un futuro solido e potrà così finalmente costruire una professionalità e acquisire nuove competenze per poi inserirsi nel mondo del lavoro.
La situazione di oggi sul territorio regionale campano rispetto, alle azioni di presa in carico delle donne che chiedono aiuto ai Centri Anti Violenza descritta dal Presidente dell’ Associazione Frida, la dottoressa Ilaria Sorrentino. Grazie al volontariato delle operatrici dell’associazione Frida, racconta la Presidente, la nostra operatività resta inalterata rispetto al contesto, raccogliamo infatti anche donne che provengono da zone extra comunali e anche fuori provincia. Le progettazioni sono continue ma i fondi regionali sono sempre a singhiozzo, questa è la realtà. Nonostante l’eco sociale e la sensibilizzazione generale c’è ancora molto da fare per rendere effettivo un supporto tempestivo ed efficace che possa mettere in sicurezza e tutelare tutte le donne e i minori implicati coinvolti nelle tristi vicende di violenza che purtroppo persistono.
Nel lockdown abbiamo scoperto che cos’è la tecnologia, un grande mezzo che ci ha permesso di essere in contatto a distanza, di fare videochiamate con i nostri cari e con i nostri amici. Ma come nel passato ogni mezzo può essere buono o cattivo a seconda di come viene usato e soprattutto a seconda di chi lo usa. In tempi recenti si sente parlare sempre più spesso di Stalking parola inglese come Ghosting altra parola inglese. Lo stalker è una persona, uomo o donna, di qualunque età che metta in atto comportamenti persecutori nei confronti di una seconda persona, alla quale sia stato legato o meno da una relazione affettiva o professionale, e che abbia fatto parte o meno del nucleo familiare per un certo periodo di tempo. È qualcuno che ti perseguita con telefonate, con appostamenti,con messaggi a tutte le ore e con lo sviluppo della nuova tecnologia questo fenomeno si è diffuso profondamente soprattutto sulle messaggistiche di nuova generazione come WhatsApp, Telegram, Facebook e Instagram.
Sono tantissime le denunce delle donne e degli uomini vittime di stalking che può nascere nelle situazioni più diverse.
Difendersi dallo stalker è una questione di sopravvivenza perché la vita della vittima viene fortemente compromessa dalla persecuzione dello stalker che con i suoi atti persecutori genera nella vittima paura e ansia.
La consapevolezza di essere esposti a un rischio è essenziale per reagire fin dall’inizio in modo adeguato e cercare aiuto.
Bisogna essere estremamente chiari rispetto ai propri sentimenti nei confronti dello stalker.
Ogni tentennamento rafforza nel persecutore la convinzione di poter raggiungere il proprio scopo.
Bisogna mostrarsi del tutto indifferenti ai comportamenti persecutori, anche quando reagire con rabbia, paura o disperazione sarebbe la reazione più naturale. In base agli studi condotti, l’indifferenza è la migliore strategia per scoraggiare lo stalker dal ripetere comportamenti persecutori.
La tecnica dell’indifferenza è un’arma molto potente ed ha anche fondamenti scientifici basate sulle nuove scoperte delle scienze comportamentali. Burrhus Frederick Skinner(1904-1990) ha sviluppato un metodo scientifico per lo studio del comportamento: l’analisi sperimentale del comportamento e si basa su di un impianto concettuale
denominato Radical Behaviorism (Comportamentismo Radicale). Skinner ha scritto un interessante libro sul “Comportamento Verbale” ed inoltre ha prodotto alcune invenzioni: la camera operante, il registratore
cumulativo, la macchina per insegnare, l’istruzione programmata, l’air crib.
Il principio dell’Estinzione
Prima di parlare dell’estinzione è opportuno spiegare il concetto di rinforzo. Il rinforzo è un processo mediante il quale il comportamento viene rinforzato attraverso una conseguenza che appare immediatamente dopo, e questa conseguenza si chiama rinforzo. Applicato al comportamento dello stalker che cerca di agganciare la vittima attraverso contatti telefonici o con altri mezzi ogni rispota della vittima diventa un rinforzo. Rispondere allo stalker significa aumentare la possibilità che lui lo ricontatti nuovamente. Non importa se la vittima utilizzi parole accondiscendenti o dure e di rimprovero: l’effetto sarà sempre lo stesso ovvero aumentare la frequenza dei comportamenti di avvicinamento del soggetto. E come si annulla questo effetto del rinforzo? Siamo giunti al succo della questione.
Estinzione significa eliminare nel linguaggio comportamentale.
L’estinzione operante è il processo mediante il quale un comportamento
precedentemente rinforzato è indebolito dalla mancata consegna del
rinforzo.
Cioè, mentre precedentemente il comportamento è stato seguito da un
cambiamento ambientale rinforzante, nell’estinzione operante quando la
risposta è emessa non succede nulla.
La frequenza del comportamento diminuisce nel futuro, di solito fino a
tassi simili al livello di base.
L’estinzione è un termine tecnico che deve essere usato solo per
descrivere la procedura di non-rinforzo del comportamento
precedentemente rinforzato.
Cosa accade dopo l’indifferenza?
Spieghiamo questi termini:
In ultima analisi liberarsi dallo stalker non è impossibile, la tecnica più efficace è quella di mantenere un atteggiamento costantemente , essere sicuri di seguire le procedure dell’estinzione e raggiungere l’obbiettivo: eliminare il problema.
A cura di Sara Colucci (Giornalista) e Maria Antonietta Cerrato (psicoterapeuta)
Lo sapevate che chi ha subito o subisce violenza domestica ha dei diritti? A volte alcune domande possono sembrare retoriche, ma io non darei tutto per scontato quando si parla di violenza e/o abuso sulle donne. Molto spesso, infatti, la vittima ha la mente “offuscata” dall’effetto della reiterata violenza, principalmente psicologica e non riesce a riconoscersi come “soggetto avente diritto”, non parlo in termini legali, anche se in concreto di questo si parla, ma mi riferisco alla condizione psicologica in cui una persona non si riconosce come essere umano che in quanto tale deve vivere o cercare di raggiungere un equilibrio di benessere psico-fisico mediamente dignitoso. Questo è il motivo per cui oltre all’intervento dell’assistente sociale e dello psicologo, nel centro anti violenza risulta indispensabile la figura dell’avvocato.
Per questo motivo riporto alcuni articoli del diritto del lavoro molto interessanti, che sono stati appositamente redatti per le donne che necessitano di lavorare, per mandare avanti la famiglia, in presenza di un riconoscimento da parte delle autorità competenti dello stato di “vittima di violenza” . Molto spesso la soluzione migliore sarebbe quella di allontanare la donna dal contesto di violenza ma si presenta la problematica della frequentazione del posto di lavoro che può essere occasione di aggressioni o continuazione di stalking e minacce: il diritto prevede la possibilità di un trasferimento della sede di lavoro, prevede congedi sia per il pubblico che privato, che possono essere utilizzati durante un allontanamento in una sede segreta. Sonon possibili anche orari e variazioni di turni per agevolare la gestione familiare.
Non mi dilungo nella mia trattazione e riporto di seguito gli articoli che parlano dei diritti delle donne vittime di violenza lavoratrici. Buona lettura!
Un mese di congedo equivale a 30 giornate di astensione effettiva dal lavoro.
Si precisa che il congedo non è fruibile né indennizzabile nei giorni in cui non vi è obbligo di prestare attività lavorativa quali, ad esempio, giorni festivi non lavorativi, periodi di aspettativa o di sospensione dell’attività lavorativa, pause contrattuali nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto. Quindi se la lavoratrice, ad esempio, ha un’attività di lavoro su 5 giorni lavorativi, ed indica un periodo di congedo per due settimane continuative dal lunedì della prima settimana al venerdì della seconda, il sabato e la domenica inclusi tra le due settimane non vanno conteggiati né indennizzati a titolo di congedo vittima di violenza di genere.
Per le giornate di congedo la lavoratrice ha diritto a percepire una indennità giornaliera, pari al 100% dell’ultima retribuzione da calcolare prendendo a riferimento le sole voci fisse e continuative della retribuzione stessa.
La rabbia, come la paura, è un’emozione molto importante che si presenta quando si percepisce che vengono oltrepassati i propri confini. Ci sono molte ragioni per cui si potrebbe sentire la rabbia: per esempio, se ci si sente minacciate da qualcosa di dannoso, se i propri diritti non sono rispettati o se si prova una grave ingiustizia. La rabbia è un’emozione potente che può portare ad azioni positive, ma che può anche mettere a rischio. Una volta che il concetto di confini personali è diventato più chiaro, dopo il percorso di supporto psicologico, le donne possono iniziare a lavorare sul raggiungimento di confini sani. Seguendo queste fasi:
E’ importante considerare l’idea che a volte può essere necessario pagare un prezzo per fissare dei confini chiari. E’ necessario valutare le conseguenze di alcune decisioni scegliendo le battaglie con attenzione.
Lascio di seguito la Carta dei Diritti, che le donne del Centro Anti Violenza Ambito S2 dell’associazione Frida per le donne contro la violenza di genere, con sede in Cava de’Tirreni imparano a tenere sempre in mente durante il percorso di supporto psicologico e nei gruppi di auto e mutuo aiuto.
Dal Report Triennio (2015-2018) del Centro Anti Violenza dell’ambito S2 gestito dall’Associazione Frida contro la violenza di genere-sede di Cava de’ Tirreni di cui sono la vice presidente nei tre anni di attività svolte sul territorio cavese ha preso in carico 72 donne, ma ha risposto alle richieste, anche solo telefoniche, di circa 98 donne. In quest’anno siamo a 9 casi solamente e per fortuna.
Questo articolo nasce dall’ispirazione che mi ha dato una donna che chiamerò Viola, che fa parte del gruppo di auto e mutuo aiuto che conduco presso il Centro Anti Violenza.
Viola è una donna vulcanica diciamo molto espressiva e coinvolgente. Ogni qualvolta nei suoi lunghi discorsi concitati tirava fuori quelle parole americane un po’ strane per il suo background culturale rimanevo colpita dal senso, dal significato che voleva trasmettere con quella terminologia e allora poi basta era quello “no contact” e basta non c’erano altri modi per dire “perché così è dottorè!” e il discorso si chiude.
Viola è una donna con una lunga storia di sofferenza e di manipolazione psicologica che ora dopo diversi anni dalla presa in carico si documenta, chiede aiuto e supporto e cerca nuovi legami per ampliare il suo giro di amicizie.
In verità non è stata la prima volta che mi sono trovata nella condizione di scoprire un gergo, sicuramente tecnico, forse sei o sette anni fa, e l’allora adolescente che chiamerò Margherita mi chiese “dottoressa ma io ho la dipendenza affettiva?” ed essendo in terapia ho dovuto indagare per capire cosa intendesse per dipendenza affettiva perché avevo necessità di comprendere in quale nosografia patologica si stesse inquadrando.
Oggi però, con l’era digitale, attraverso i media, la cultura è alla portata di mano, si ascolta qualsiasi notizia, opinione, documentario, servizio televisivo di bassa o alta qualità e più che mai oggi, quando una persona ha un problema si autodiagnostica con Google, si associa a delle minoranze, segue correnti culturali in maniera “random” casuale, anzi altro che random! Segue in modo statisticamente determinato dall’intelligenza artificiale dei media. Noi siamo influenzati dal social web marketing in tutto quello che vogliamo conoscere e comprendere, perché, diciamoci la verità, scagli la prima pietra chi non “googola” su internet per capire qualcosa, specie se questa qual cosa è una qual cosa spiacevole e di cui non parla facilmente con altri. Ma chi ci dice che quello che leggiamo, vediamo, ascoltiamo sul web è qualcosa di fondato? Ma poi a parte la fondatezza del dato, che molto spesso viene trascurata: nel campo del disagio personale e della salute mentale, chi è in difficoltà cerca conforto e rispecchiamento. Questo effetto/affetto del trovare una risposta diventa un/il sollievo per una persona, il soggetto in difficoltà passa da un non senso ad una rispondenza di qualcosa.
Ritornando a questi termini, “etichette”, tipicamente americani e molto spesso intraducibili, alla fine devo comprenderli per forza perché i miei pazienti parlano così.
Viola parla di “manipolazione” di “no contact”, Margherita di “dipendenza affettiva” e io comincio a capire che quello che avviene nel luogo della cura reale, tra le quattro mura dove io “vis a vis” in carne ed ossa interagisco con il paziente, non è l’unica terapia attiva su quel paziente, ma si aggiungono teorie altre, tecniche altre, gerghi altri, provenienti da altre persone, influencer, personal trainer, e includerei anche da tutti quelli che si sentono un po’ psicologi senza esserlo.
È bene fare un po’ di chiarezza sulla dinamica della dipendenza psicologica. In questo periodo la vicenda più seguita è quella della famosissima showgirl Pamela Prati che da protagonista di un matrimonio da favola si è trasformata in vittima di manipolazioni psicologiche insidiose e devastanti, nel caso della Prati il carnefice probabilmente non è un uomo ma la forza della manipolazione in realtà non ha un genere maschile o femminile certamente ha un fine che è sempre lo stesso: Il controllo totale della vita della vittima.
La dipendenza affettiva può essere un disturbo di personalità con una caratteristica significativamente stabile nel tempo e si manifesta sin dalla tarda adolescenza attraverso un modello di comportamento che si discosta marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, stabile nel tempo e che determina disagio o menomazione. Il comportamento dipendente e sottomesso è finalizzato a suscitare protezione e nasce da una percezione di sé come incapace di funzionare adeguatamente senza l’aiuto degli altri. Un individuo con disturbo di personalità dipendente tende ad essere passivo e permettere agli altri di prendere decisioni per la maggior parte dei settori della propria vita. Gli adulti di questo tipo dipendono da un genitore o dal coniuge, gli adolescenti possono permettere ai propri genitori di decidere cosa indossare, chi frequentare, come trascorrere il tempo libero, che tipo di lavoro intraprendere. Questo tipo di personalità ben si sposa con una relazione con un altro disturbo di personalità che al contrario tende ad essere dominante, a svalutare gli altri e a mancare di empatia nei confronti dei sentimenti e delle emozioni altrui, come quello del narcisista. Un’accoppiata perfetta per soddisfare il bisogno di accudimento di uno e quello di grandezza dell’altro.
Ben diversa è la condizione che si verifica quando una persona mediamente normale incappa in un narcisista o in un sociopatico manipolatore che da una condizione di libertà e di autodeterminazione si ritrova invischiata e imbrigliata in una condizione di sudditanza psicologica e di estrema vulnerabilità.
Affinché si dispieghi una situazione di dipendenza c’è bisogno che sussista uno squilibrio di potere tra due persone e se un manipolatore ha “puntato” una determinata persona può anche mettere in atto strategie lunghe di messa in dipendenza affinché una persona più o meno equilibrata cada in una condizione di dipendenza e sopraffazione.
Nel processo di messa in dipendenza senza ricorso alla violenza, la manipolazione psicologica è lo strumento principale: basta pensare al rapporto genitore-figlio che fisiologicamente decade al momento in cui interviene l’autonomia. Un modo per avere le risorse è creare una situazione di dipendenza attraverso l’induzione della percezione dell’incapacità: praticamente poggiare sull’insicurezza e approfondirla in modo che la persona pensi che le sue competenze siano sostituibili, di poco autentico valore. Basta non riconoscere le capacità della persona, mettere in risalto gli errori commessi, usare la svalutazione appena possibile, perché si possa formare nel tempo la percezione di non essere all’altezza del suo ruolo. Il meccanismo della messa in dipendenza può presentarsi in ogni situazione sociale in cui emerge un conflitto e in cui vi sia un differenziale di potere tra le posizioni (datore di lavoro e impiegato), ma il terreno fertile è l’ambito delle relazioni intime e dei rapporti familiari.
L’antefatto della violenza nel rapporto di coppia è la messa in dipendenza e funzionalizzazione delle risorse del lavoro di cura familiare nel processo.
Il lavoro di cura della donna di casa è l’antagonista principale della cura di sé, dell’autonomia e dell’autodeterminazione perché esso è: fare per gli altri è come fare per sé, attendere il giudizio degli altri per valutare il proprio operato, non riconoscere stanchezza e noia, restringere i propri spazi e bisogni. L’attenzione della donna è focalizzata sul benessere della famiglia e riduce la sensibilità a prendersi cura di sé.
Lo studio degli eventi traumatici e delle loro tipologie ha contribuito a fare chiarezza sulla differenza che intercorre tra un trauma naturale, un evento, una catastrofe e i traumi conseguenti alle relazioni affettive. Stiamo parlando del Disturbo post-traumatico da stress (PTSD) osservato da Herman (J. Herman, Trauma and recovery, basic Books, new York, 1992) sugli ostaggi, i prigionieri di guerra e i sopravvissuti dei campi di concentramento e di alcune sette religiose. Il prigioniero presenta sintomi precisi di cui farò brevemente cenno, questi sono: alterazione nella regolazione degli affetti 8disforia, idee suicidarie, autolesionismo), dello stato di coscienza (amnesia, dissociazione, depersonalizzazione e derealizzazione), della percezione di sé (senso di vergogna, colpa, impotenza, paralisi dell’iniziativa, credenza che nessuno possa comprendere, sensazione di essere completamente diversi dagli altri), della percezione dell’abusante (preoccupazione della relazione con l’abusante pensieri di vendetta, attribuzione irrealistica di potere assoluto dell’abusante, idealizzazione o gratitudine paradossale, convinzione di avere con l’abusante una relazione speciale), nei rapporti con gli altri (isolamento e ritiro, ricerca continua di un salvatore, fallimenti ripetuti e incapacità di auto proteggersi)e alterazioni nel sistema dei significati (perdita di fiducia, impotenza, disperazione).
Una persona vittima di un sequestro o in condizione di restrizione di libertà, può manifestare sentimenti positivi (anche fino all’innamoramento) nei confronti del proprio rapitore/sequestratore (T. Strentz, “the Stockholm syndrome: Law Enforcement Policy and Ego Defences of the Hostage), FBI Law Enforcement Bull., 48,1979, pp.2-12). È una risposta emotiva al trauma, uno stato psicologico nel quale le vittime cominciano a provare un legame emotivo con coloro che abusano di loro e le mantengono in situazioni oppressive (traumatic bond). Molte volte le donne e madri vittime di violenza domestica, infatti, sono convinte di dover stare con il carnefice al fine di proteggere i figli e i parenti dalla violenza e si isola dalla famiglia, dal lavoro e dagli amici.
L’isolamento è il punto chiave nel metodo di chi abusa. La ricerca su questo tema del legame con l’aguzzino ha mostrato come l’impulso naturale, quando si è in pericolo, è di cercare conforto dalla persona più vicina, anche se questa persona è la stessa fonte della paura. L’abusante è umanizzato, oggetto di cure e di compassione e la vittima adottando il sistema di credenze dell’abusante crede di essere incapace e si auto svaluta normalizzando e accettando il comportamento dell’abusante.
La Walker sostiene che le cause della tolleranza della privazione della libertà e della violenza (L. Walker, “The battered Woman Syndrome is a Psychological Conseguence of Abuse” in Current Controversies on Familt Violence, Sage, thousand Oaks, 1994) sono rintracciabili nella persistenza della speranza che il partner cambi, nelle dipendenza economica, nella paura di rimanere da sola, nella paura delle minacce, perdita di autostima e depressione.
Anche il brainwashing è stato studiato nelle condizioni traumatiche della guerra e precisamente sui prigionieri di guerra americani in Corea, ma anche gli studi sul mobbing lavorativo e delle sette religiose portano alle stesse conclusioni: per controllare una vittima e tenerla alla restrizione e all’isolamento il contollo fisico non è mai realizzabile senza la collaborazione del prigioniero. Affinché il prigioniero collabori si applica l’abuso psicologico per paralizzare la vittima la si priva della sua autostima, della capacità di pensare razionalmente della fiducia in se stessa e dell’autonomia e indipendenza con isolamento, la monopolizzazione dell’esperienza, l’induzione all’esaurimento intensificando gli stressor, attacchi improvvisi e imprevedibili, con minacce occasionali indulgenze per formare motivazione positiva alla conformità delle regole dimostrazione di onnipotenza e onniscienza, degradazione e svilimento, esecuzione di compiti banali (Biderman’s Chart, A. Biderman, “Comunist Attempts to Elicit False Confession from Air Force Prisoners of War”, Bulletin of New York Academy of Medicine, September, 1957). L’abuso è perpetrato per una precisa modalità: mantenere potere e controllo.
Con un comportamento altamente manipolatorio messo in atto da una persona abusante la vittima finisce di dubitare di sé stessa e dei suoi giudizi di realtà, comincia ad andare in confusione e crede di stare impazzendo. Il termine deriva da un’opera teatrale del 1938 Gaslight (inizialmente nota come Angel Street negli Stati Uniti), e dagli adattamenti cinematografici del 1940 e 1944 (conosciuto in Italia come Angoscia) un marito che cerca di portare la moglie alla pazzia manipolando piccoli elementi dell’ambiente, e insistendo che la moglie si sbaglia o si ricorda male quando nota questi cambiamenti, in Angoscia Ingrid a Bergman si documentò approfonditamente; andò in un istituto di igiene mentale e studiò a lungo una paziente, per carpire ogni singola espressione del viso e degli occhi in particolare.
Martha Stout (M.Stout, The Sociophatic next Door: The Ruthless versus the Rest of Us, Random Hause, new York, 2005) afferma che i sociopatici utilizzano spesso queste tattiche di gaslighting e sono spesso convincenti e bugiardi che negano costantemente il loro comportamenti illeciti o penalmente rilevanti, accusa il partner di aver fatto qualcosa di sbagliato. La vittima inizialmente non crede a quello che sta accadendo, poi comincia a difendersi con rabbia e a sostenere la sua posizione, poi si convince che il manipolatore ha ragione e cade in depressione.
Dai casi affrontati molto spesso la vittima di questo tipo di violenza, nelle sue narrazioni finisce col non essere più in grado di definire tutti gli aspetti di questa violenza, dall’analisi delle storie può anche venir fuori una violenza solo percepita e non reale, o un malessere psichico, originato altrove, che ha alterato i fatti della realtà. È possibile che accada ma sono casi molto limitati, in genere succede l’inverso: dalla violenza tollerata si passa a gravi disturbi psichici, per i quali poi si perde la possibilità della vittima di ricostruire i nessi eziologici del suo malessere con la violenza subita.
Il trattamento di una vittima di violenza consiste nella riparazione dei danni provocati da un evento esterno anche se una malattia psichica si evidenzia come conseguenza della violenza, questa è strettamente connessa alla vicenda traumatica. Il trattamento è incentrato prevalentemente sul trauma sul riconoscimento e la ricostruzione della storia, sulle conseguenze in termini di riduzione delle risorse personali e di peggioramento della qualità di vita. Gli obiettivi della riparazione sociale 8il sostegno alla vittima9, della riparazione giudiziaria (accertamento dei fatti e risarcimento sociale ed economico), sono gli stessi della riparazione psicologica e quindi la reintegrazione della vittima nel possesso delle sue piene capacità contrattuali, relazionali ed emozionali.
M. A. Cerrato
Il Centro Anti Violenza dell’Ambito S2 sede di Cava de’ Tirreni gestito dall’Associazione “Frida contro la violenza di genere” nell’ambito del progetto “Donne in rete contro la violenza” nei tre anni di attività svolte sul territorio cavese ha preso in carico 72 donne, ma ha risposto alle richieste, anche solo telefoniche, di circa 98 donne.
Nello specifico sono state accolte 21 donne nell’anno 2016, 20 donne nell’anno 2017 e 57 donne nell’anno 2018, anno in cui 31 sono state le prese in carico e 26 hanno telefonato al Cav per richiedere informazioni senza presentarsi all’appuntamento fissato.
64 italiane (89%) e 8 straniere (11%)
43 coniugate (60%) 18 nubili (25%) , 8 separate (11%), 3 vedove (4%)
La fasciata d’età che sembra essere più colpita si colloca tra i 30-39 anni d’età con il 39%( 28 donne), seguono le donne tra i 40-49 anni circa il 26% ( 19 donne), 15 donne (21%) hanno un età compresa tra i 50-59 anni, 7 donne (9,7%) hanno tra i 20-29 anni e solamente 3 donne (4%) hanno un età superiore ai 60 anni.
Il livello d’ istruzione delle vittime è definibile medio basso;
Il 41,5% ha concluso le scuole medie superiori (30 donne)
Il 41.5% ha conseguito la licenzia media (30 donne)
L’ 11% delle donne è laureata ( 8 donne)
E il 4% ha una licenza elementare ( 3 donne)
Solo per una sola utente non è stato possibile rilevare questo dato.
Il dato più rilevante riguarda la condizione lavorativa delle donne vittime, che risulta essere uno degli ostacoli più difficile da superare nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, condizionando spesso le scelte delle utenti soprattutto con figli minorenni.
23 non occupate ( 32%)
22 lavoro saltuario (30.5%)
18 occupate (25%)
6 casalinghe (8%)
1 pensionata (1%)
Solo per due utenti non è stato possibile rilevare questo dato.
L’accesso al CAV è stato per lo più diretto, avvenendo per iniziativa spontanea e/o accompagnamento con funzione di sostegno da parte di persone amiche o familiari di fiducia, o ancora attraverso il numero verde 1522 ;
il 10% degli accessi si è verificato a seguito di segnalazione/invio da parte delle Forze dell’Ordine insistenti sul territorio (Tenenza dei Carabinieri di Cava de’ Tirreni) con le quali è da tempo instaurata una proficua collaborazione;
il 9.7% degli accessi è avvento a seguito si segnalazione da parte del servizio sociale professionale;
il 7% è giunta su segnalazione del Consultorio o del Pronto Soccorso; in altrettanti casi a contattare il CAV sono stati parenti o amici.
Le violenze maggiormente riferite riguardano la violenza psicologica (95.8%), una forma subdola di maltrattamento, in quanto invisibile e silenziosa, che colpisce moltissime donne, spesso inconsapevoli di esserne vittime. Al pari di quella fisica, la violenza psicologica ha conseguenze devastanti per le donne, ma troppo spesso viene sottovalutata, ecco perché è fondamentale riconoscerla e trovare la forza e il modo di uscirne.
La violenza psicologica si inizia a manifestarsi prima con delle critiche generali e poi prende la forma del predominio nel discorso, del mettere a tacere ogni risposta, del rendere la vittima incapace di sostenere le sue ragioni. Il carnefice, in questo modo sta logorando la sicurezza della vittima, sta facendo in modo da convincerla di essere “incapace” “stupida” “sbagliata” sta cercando di crearle dei sensi di colpa e di renderla inoffensiva sul piano della relazione. Dalla critica generale poi si passa facilmente al vero e proprio disprezzo.
Circa il 72% delle donne hanno riferito di essere vittime di violenza fisica intesa come percosse con o senza oggetti , strattonamenti violenti, ecc;
Il 30% delle donne ha riferito di essere vittima di violenza economica, ancora oggi troppo sottovalutata.
Questo tipo di violenza viene attuata attraverso fenomeni che limitano l’autonomia economica e l’autodeterminazione delle donne: la frammentazione del lavoro, la disoccupazione forzata, lo sfruttamento, l’impoverimento e il ricatto.
È attuata attraverso il modello patriarcale di divisione del lavoro, che assegna alle donne il lavoro di cura gratuito e non riconosciuto, portandole alla rinuncia o alla limitazione dell’autonomia lavorativa.
Il 20% è vittima di stalking
L’11% delle donne ha riferito di essere vittima di molestie e violenza sessuali
Chiaramente nella maggior parte dei casi la medesima vittima è destinataria di più forme di violenza perpetrate soprattutto nell’ambito familiare.
L’autore delle violenze è quasi sempre una persona con la quale la vittima ha o ha avuto un legane affettivo.
Nel 64% dei casi ad essere violento è il coniuge o l’ex coniuge,
nel 28% dei casi si tratta di un ex partner, partner conviventi o non conviventi.
In altri casi il maltrattante è quasi sempre una persona di famiglia (padre, figlio, ecc.).
I figli minori, in quasi tutti i casi assistono alle violenze subite dalla madre.
Sono 72 i minori registrati indirettamente coinvolti. Solo per alcuni le madri hanno richiesto l’intervento delle psicologhe del Cav o beneficiato di un lavoro di supporto alla genitorialità.
Alcuni sono seguiti dal servizio sociale professionale e dal Tribunale per i Minorenni.
Purtroppo nel 60% dei casi le donne non denunciano le violenze subite.
Soltanto nel 37.5% dei casi le donne hanno sporto denuncia presso le forze dell’ordine.
Pochissime donne si sono rivolte al pronto soccorso per ricevere le adeguate cure mediche e farsi refertare.
L’accesso al Centro antiviolenza nella totalità dei casi è motivato dalla necessità di essere ascoltate e di ricevere informazioni.
Nel 100% dei casi le donne hanno ricevuto un contatto diretto con le assistenti sociali, per una prima valutazione del caso, l’individuazione del rischio, la rilevazione dei bisogni e l’avvio del percorso di sostegno.
Nel 47.2% delle volte è richiesta anche la consulenza e/o assistenza psicologica, che sfocia quasi per tutti i casi in un percorso di sostegno a medio-lungo.
Nel 54% dei casi viene richiesta anche una consulenza e/o assistenza legale.
Raramente c’è stata necessità di attivare la rete per la collocazione in struttura protetta: ciò va correlato al fatto che spesso le donne decidono di intraprendere il percorso senza allontanarsi dal nucleo familiare o perché scelgono di farsi supportare dalla rete parentale, rientrando spesso presso la famiglia di origine. In altri casi ancora è stata attivata una misura di allontanamento dell’uomo maltrattante dalla casa coniugale e dalla vittima.
Le professioniste del Cav seguono la vittima durante tutto il percorso da loro affrontato cercando di creare anche momenti di condivisione e riflessione.
Nell’anno 2018 è stato avviato il Gruppo di auto mutuo aiuto con l’obbiettivo di mantenere una relazione professionale anche con le donne che hanno già seguito un percorso individuale e che non vivono più uno stato di emergenza, nonché di favorire la relazione amicale con le altre donne che hanno vissuto un esperienza simile.
Le professioniste del Centro antiviolenza hanno nel corso dei tre anni progettato, organizzato e realizzato diverse iniziative di prevenzione, sensibilizzazione e informazione sul tema.
Sono stati realizzati progetti di prevenzione e sensibilizzazione nelle scuole cavesi e tante iniziative di carattere culturale rivolte all’intera cittadinanza, anche grazie al coinvolgimento e alla collaborazione di altre realtà presenti sul territorio cavese.
Cava de’ Tirreni, 18/04/2019 La Coordinatrice del Cav-S2 Cava de’ Tirreni
Dott.ssa Ilaria Sorrentino
Anche quest’anno l’Associazione Frida sarà presente sul territorio per promuovere i servizi del Centro Anti Violenza.
In Italia il 14% delle donne ha subito nel corso della vita violenza da un partner o ex-partner. L’incidenza della violenza nelle relazioni di intimità ci porta ad ipotizzare che un numero molto
alto di donne che chiedono aiuto possono subire o aver subitomaltrattamento di vario genere. Diventa quindi essenziale, nelle pratiche la rilevazione e della valutazione del rischio (Risk assessment).
Frida contribuirà offrendo lo screening del rischio.
Ci saranno per questo consulenze gratuite sulla tematica della violenza domestica e di genere rivolte alla popolazione del centro ma anche della periferira con postazioni dislocate. Saranno a disposizione della cittadinanza assistenti sociali, psicologi e avvocati della nostra equipe, per illustrare le competenze di pertinenza e forniranno le prime indicazioni dell’intervento di Frida.
L’Amministrazione comunale in collaborazione con i Servizi Sociali e l’Associazione promotrice dell’iniziativa, “Farma e Benessere” ed a seguito delle adesioni di A.S.L, Metellia Servizi, Cooperativa “Città della Luna”, Protezione civile, Consorzio Farmaceutico Intercomunale, Osservatorio cittadino sull’Handicap, Associazione giovani farmacisti Salerno (AGIFAR) e molteplici aziende, effettuerà sei giornate di screening.
La presenza di Frida in questa importante attività di promozione della salute e del benessere è stata così programmata:
– Sabato 11 Maggio – piazzetta Santa Lucia;
– Domenica 19 Maggio – piazza Duomo;
– Sabato 25 Maggio – Piazzetta di Pregiato;
– Venerdì 31 Maggio – Convegno conclusivo presso il Complesso di San Giovanni;
Invitiamo la cittadinanza a partecipare attivamente a questa iniziativa che propone la campagna di prevenzione non solo al centro ma anche sulle frazioni della nostra amata città.
Ringraziamo il Dott. Marco Barone Presidente “Farma e Benessere”.
Ilaria Sorrentino
Presidente Associazione Frida
per le donne contro la violeza di genere
Associazione Frida per le Donne
Via Aniello Salsano c/o Ex Terza Circoscrizione Pregiato
84013 Cava de' Tirreni (SA)